L’aspetto positivo è che negli ultimi trenta anni il consumo medio pro capite di alcolici della popolazione trentina è calato da 13 litri a 9.
Ma c’è ben poco da “brindare”: due giovani su tre bevono. E un dato, in particolare, fa riflettere: i consumatori considerati ad alto rischio tra gli 11 e i 24 anni sono ben 15.000. Quindicimila ragazzi e ragazze (le differenze tra uomini e donne si sono molto assottigliate negli ultimi anni) che con birre, vino o superalcolici esagerano, sia nella quantità sia nella frequenza.
In tutto, senza distinzioni d’età, 80 mila persone in Trentino sono considerate consumatori ad alto rischio e di queste circa 13 mila hanno problemi con l’alcol e hanno subito dei danni (una volta venivano definiti “alcolisti”, ma oggi la classificazione e i nomi sono cambiati). Un quadro, insomma, preoccupante e da non prendere sotto gamba: spesso si tende a minimizzare, a non considerare questa bevande un potenziale problema ma solo un piacere, ma in realtà l’attenzione va tenuta alta.
Se non altro perché a livello nazionale le cosiddetta “mortalità alcol correlata” è di quasi 40 mila persone all’anno, rispetto alle 1.000 “droga correlate”.
A fare il punto della situazione è il dottor Luigino Pellegrini, da trent’anni impegnato nell’ambito del servizio di “Alcologia Centro Antifumo” dell’Azienda sanitaria.
Dottore, partiamo dalle buone notizie.
Il consumo pro capite è calato, ma con 9 litri a testa il Trentino resta quasi al top in Italia. Inoltre siamo ancora distanti dall’obiettivo dei 6 litri fissato nel piano 2025 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Rispetto agli anni Ottanta e Novanta la gran parte dei numeri e delle statistiche sono positive, ma c’è ancora molta strada da fare.
A cosa sono dovuti questi miglioramenti?
A una serie di norme e regole, oltre ai controlli e alla collaborazione con le scuole. Penso alle regole sul bere alla guida o al lavoro, che hanno salvato vite e “regalato” salute alle persone.
D’altra parte, come si dice, un bicchierino di vino a pranzo non può che fare bene…
Ecco, questa è una bufala, una credenza popolare che anche noi medici, sbagliando, abbiamo alimentato. Consigliare il consumo è sbagliato.
Perché la droga viene considerata un male mentre l’alcol, in fin dei conti, è tollerato? Dai dati che ci ha fornito i danni maggiori, almeno a livello numerico, li dà il bere.
L’alcol, rispetto a fumo e droghe, è culturalmente accettato e inoltre rappresenta qui da noi un grande indotto.
Insomma, col vino ci si mangia.
Esatto: il settore del vino vale milioni di euro. Ma da medico dico che se portiamo bottiglie in Cina stiamo portando lì anche dei costi socio sanitari altissimi. Il punto è che per il bere si fa la distinzione tra uso e abuso, cosa che non esiste per le droghe. L’unica distinzione che possiamo fare è nel 60% di trentini consumatori, che classifichiamo in basso, medio e alto rischio.
Torniamo ai giovani: c’è un identikit?
Rispetto agli anni Settanta si inizia a bere prima: dai 17 anni addirittura agli 11 attuali. Inoltre, se una volta il problema era tipicamente maschile, ora c’è una certa omologazione, anche se gli uomini restano in maggioranza. E anche tra periferia e città non ci sono differenze significative: la globalizzazione è anche territoriale. Tipologie? La birra soprattutto.
Come far diminuire quei 15 mila giovani ad alto rischio?
Non con il proibizionismo, che non serve a nulla, ma rendendo i cittadini consumatori informati e tutelati.
Capitolo sigarette: anche in questo settore i numeri migliorano?
Siamo passati dal 37% al 24% di fumatori, ma l’obiettivo provinciale entro il 2025 è di arrivare al 15%: per farlo è necessario far passare il messaggio sulla salute, sulla spesa e sull’impatto ambientale. Per quest’ultimo punto basti dire che in Italia ci sono 72 miliardi di mozziconi dispersi nell’ambiente.